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Per una gig economy etica serve un codice di condotta: i nodi da affrontare

La gig economy comprende ma una platea molto ampia che si compone di una miriade di realtà differenti. Se ne è discusso a State of Privacy.

di Rocco Panetta

Di gig economy si parla da anni ma, recentemente, anche dal punto di vista normativo, si è registrata una accelerazione, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo.

Il tema della tutela dei lavoratori delle piattaforme digitali è stato uno di quelli al centro della giornata di lavoro State of Privacy 2022 organizzata dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali a Napoli in occasione dei 25 anni dalla sua nascita.

Se ne è discusso al tavolo che ho avuto l’onere, e l’onore, di presiedere, guidando la discussione su un tema complesso e in divenire, affiancato da grandi professionisti di diversi settori come Stefano da Empoli di ICom, Andrea Puccio, di Puccio Penalisti Associati, Mario Guglielmetti dell’EDPS, Luca de Biase de Il Sole 24Ore, Gianluca Petrillo di Deliveroo, Andrea Goggi di Jobby, Gabriele de Giorgi di Uber, Alessandro d’Angelo di Cosaporto e, per il Garante, Lia Giannotta.

Dal tavolo di lavoro è emersa, tra le altre cose, la necessità di lavorare, ancor prima che sulle regole, sulle premesse del futuro impianto normativo e di avviare i lavori per un Codice di Condotta, ai sensi del GDPR, che includa una forte componente etica e di attenzione all’individuo.

Il quadro normativo

Prima dell’estate è stato presentato un ddl volto a tutelare i lavoratori di questo settore emergente, attraverso cui si vorrebbero stabilire dei livelli minimi di tutela e si individuano i parametri che costituiscono il segnale di un rapporto subordinato, in luogo di uno da libero professionista.

A ciò si aggiunge la proposta di direttiva della Commissione europea, presentata a Bruxelles il 9 dicembre 2021, per migliorare le condizioni dei lavoratori delle piattaforme, e che vede come relatrice per il parlamento europeo Elisabetta Gualmini. Secondo i dati della Commissione, i gig worker, che oggi contano una platea di 28 milioni di lavoratori in Europa, saliranno a quota 43 nel 2025. Uno dei problemi più annosi, anche a livello europeo, è la corretta identificazione di alcuni gig worker come dipendenti o come lavoratori occasionali a partita iva. E vi sarebbe un richiamo al GDPR all’art. 20, laddove obblighi di trasparenza indurrebbero a rendere edotto il lavoratore circa la presenza di strumenti e sistemi idonei a monitorare automaticamente dati che li riguardano – in Italia, come noto, tale comportamento è altresì disciplinato dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.

La necessità di un codice di condotta con una forte componente etica

Già dal testo della Commissione si è visto come parlare di gig worker non comprenda più solamente rider e driver, bensì una platea ben più amplia, che si allarga a tutta la “platform economy”, e che si compone pertanto di una miriade di realtà differenti, con sottomercati e business model molto eterogenei tra loro.


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